In Astoria, Queens, mi sembrava una cosa stranissima che l’androne del palazzo in cui vivevo fosse sempre stracolmo di pacchi. Adoro i pacchi! Ma cosa si farà mai mandare la gente, mi domandavo? Facevo la corte a tutti quei parallelepipedi di dimensioni molto varie lasciati incustoditi fino a sera. Capivo che le persone non avevano tempo di andare, scegliere, portare a casa; o non trovavano il modo, o non potevano, non lo sapevo di preciso. Ho avuto una vita tangente ai veri newyorchesi, ho vissuto qualcosa di parallelo ma forse diverso. Quindi, volendo iniziare ad avvicinarmi a loro, io, marziana di Ital-Marte, escogitai qualcosa da farmi mandare. Volevo anch’io tornare la sera e avere il piacere di vedere impresso il mio nome su un bel pacco asettico, liscio, con tanto di sorpresa.
Certo, ci si perdono un sacco di aspetti positivi nel non scegliere, oltre al fatto che ignoravo e manco vagamente ci riflettevo che dietro queste mastodontiche imprese di spedizione c’è un grande sfruttamento… ahimè. Cinica? Allora proprio non sapevo. Adesso alcune cose quasi non puoi averle se non utilizzando carte di credito e ordinandole on-line. Certo qui non ce n’accorgiamo nemmeno, ma negli immensi States è cosa un po’ diversa. Non si vive per un caso nell’UES (Upper East Side) per andare poi a fare un giro a Brooklyn. O a un parco (a Brooklyn). Non parliamo poi del Queeeeens!! No-no-no-no-nooooo! Avevo intuito ciò, ma adesso leggo pure un interessantissimo libretto che mi sta illuminando su una ricchissima fetta di mondo, di cui la protagonista è parte, che non solo di norma non esce dall’isola, ma nemmeno dal quartiere (W. Martin, “Nella giungla di Park Avenue”). Quindi, Amazon o chi per lui, potrebbe anche servire. Diventa una roba davvero interessante. Per non parlare delle vite stressantissime della plus part della popolazione di NY. E’ un must (ma non lo devo svelare io adesso, è storia risaputa), considerando quanti si facciano portare la cena a casa – e mettiamoci dentro pure gli squattrinati (l’assurdo!) – .
Decisi che potevo permettermi di farmi recapitare qualcosa, e iniziai a guardare i cataloghi dei libri. Avevo trovato una bancarella vicino al Met Museum, e quando uscivo da lavoro mi ci fermavo spesso. Difficile leggere i libri in inglese se si vogliono anche imparare le parole… quasi impossibile. Non era cosa per me. Allora, seguendo l’idea ingenua e idealista, che per fortuna ancora ogni tanto qualcuna di loro mi assale, di addentrarmi nella cultura originaria del popolo in mezzo a cui vivevo, pensai “Radici! iniziamo dalle basi”. Un bel Mark Twain. L’età dell’oro, anzi The gilded age. Proveniva da un libraio americano: mi sembrava una cosa favolosa! Avrei avuto una prospettiva più realistica della vita dei primi del ‘900, accanto al ricchissimo e briachissimo F.S.Fitzgerald? Mah. Chi può saperlo. Il libro mi è rimasto chiuso sul comodino, bello alto, bello vecchio, sottobicchiere ampio, affascinante, italianissimo (superlativi come se piovesse oggi). Comunque era arrivato senza nessun disguido, lasciato nella hall per me, con il mio nome fieramente stampato. Tutti sereni, ognuno con il suo regalo.
In Italia non si fidano a lasciarti il pacco. Ma è comprensibile, e non gliene vogliamo.
Mi suonano e urlano: “Rossignoliiiii?!”. Non c’è il citofono. Io e il postino parliamo a distanza vociando. Mi piace quando mi porta qualcosa. A volte mi dimentico di aver ordinato una cosa, ed è fantastico! Ogni tanto semplifico con un click… lo so che non dovrei, ma adoro i pacchi. Anche conditi da una corsa giù per le scale in pigiama.