Come si fa a scegliere? Dedicare tempo a qualcuno, a qualcosa, fare una cosa, oppure non farla. il concetto che mi ha colpito di più nell’articolo “La fatica di decidere” di Annamaria Testa (Internazionale, 12 settembre 2016) è proprio la possibilità di sviluppare la capacità di non scegliere. Procrastinare forse? Oppure lasciare indeterminatamente una scelta nell’iperspazio delle cose indeterminate. Per “sempre”?
E ancor più avvincente è la possibilità di abbandonare buona parte delle scelte non tanto alla convinzione della bontà di una posizione ma all’intuito, e non, si sottolinea, all’eccessiva autostima che spinge a scegliere precipitosamente.
E dunque, eccoci.
Alla prova. Si parte. E dove si va? Cosa si fa?
Tutti hanno decine di opzioni giornaliere, mensili. Vitali. Stupide. Più o meno importanti. Inutili elencare esempi. A me ne vorticano in testa una quantità. Poi sogno cosa devo fare, e potrebbe sembrare essere di aiuto.
Ma nell’articolo non è contemplato. Lì tutte le statistiche e gli studi condotti dai più eminenti centri di ricerca – presumo – non calcolano che poi uno scelga in base ai sogni. Eh, troppo facile! E poi chi potrebbe mai verificare se quella scelta è stata davvero la migliore? Occorrerebbe vivere due vite parallele in cui si materializzano entrambe le scelte vissute, con relative conseguenze, persone modificate con i loro comportamenti adeguatamente modificati; cambierebbe il passato oltre, ovviamente, al presente e al futuro. Chiaro no?
Ma insomma, alla fine, ogni strada va bene perché si è scelta, o all’opposto perché si è scelto in quel momento di non scegliere. Quanti si piangono addosso ignorando che in quell’esatto momento non avrebbero potuto fare altrimenti, perché erano quello e nient’altro che quello. Non erano laddove noi li vedevamo, o li avremmo visti, non erano costitutivamente in altro modo, e pertanto non erano in grado di fare assolutamente altro. Andava bene così. Ciò non significa che mi piaccia. Ciò non significa che non mi faccia profondamente anche incazzare.
Ma io posso solo scrivere. E se oggi esiste questo strano modo di “pubblicare”, per cui chiunque si svegli può rendere pubblico che gli prude un’ascella, e lo fa, e la gente lo legge pure, e commenta che prude pure a lui… Mi scuso. Lo trovo assurdo. Ma accade questo. E così beneficio di condividere i miei personali empiti di libertà. E di scelte.
Perché alle scelte ci penso ogni giorno, e non ho per adesso modo di vivere dimenticandomene, o facendo le cose alla leggera, come mi è stato suggerito. Per questo mi è piaciuta molto l’idea di poter anche non scegliere.
Tutto gira attorno al fatto che si può finalmente scegliere di arrendersi ai limiti che, era ora, si riconoscono di avere. Ci sto facendo pace.
Scelto, finora ho scelto, cribbio. E questa storia della non-scelta mi piace. Stiamo diventando amiche.
Concludo riportando il summenzionato articolo, e sì, in barba a tutte le statistiche, a tutti i dannati calcoli, concludo con la pancia, concludo con il sogno, e con l’intuito. Concludo con la speranza di seguire bene il fiuto, o meglio, sperando di averne:
“Se siete indecisi tra l’una e l’altra alternativa, forse possono orientarvi le due storie dei miei personali eroi della decisione. Il primo è Charles Darwin, che al momento di prendere moglie compila un accurato elenco dei vantaggi e degli svantaggi. Anche se gli svantaggi superano i vantaggi, poi alla fine si sposa. Il secondo eroe si chiama Stanislav Evgrafovič Petrov, il tenente colonnello dell’armata rossa che in una notte di settembre del 1983 si trova a dover decidere in pochi istanti se premere o meno il pulsante che dà l’avvio a un conflitto nucleare. E decide di non farlo”.
La stanza dei bottoni, insomma, non è forse un solo tasto?