C’è il tempo del silenzio, e quello delle parole.
C’è il tempo della costruzione, e quello della resistenza.
C’è il tempo del pensiero, e quello dell’azione.
E poi c’è il caos, quando i tempi si accavallano, si mescolano, si confondono, e pari i colpi, e non scegli ma segui la corrente delle emergenze. Non è piacevole, ma hai la forza che prima non avevi più per farlo.
Cucio bottoni su federe che sono diventate mie; tolgo cifre ricamate da vecchi forse mai usati asciugamani di lino; lavo lenzuola e copriletti. Porto in casa un martello e un ferro di 100 anni fa, un trapano che probabilmente non userò mai, scatole di filati e nastri.
Sposto fogli, documenti, lettere. Devo conservare per un po’ quella roba.
E lo spazio creativo si esaurisce là, nell’azione di sistemare ciò che ho scelto di tenere.
Ho gettato decine di sacchi, inscatolato decine di oggetti, controllato ogni singola “cosa”. Ho chiuso sessant’anni della vita degli altri in pacchi e pacchetti, processata, salutata. Riconsiderata. Mi ha commosso. Mi ha impaurito. Non li conoscevo neanche abbastanza. Eppure era un intero universo che si è esaurito in un giorno.
E considero che tutte le “cose”, quelle che riteniamo preziose per il valore affettivo, hanno valore limitatamente al tempo che ci è concesso di stare con loro. A volte è molto, a volte poco, pochissimo.
Odio accumulare, eppure accumulo. Quel senso di caducità pessimista mi ha sempre accompagnato. Niente rimane con noi, se non per un lasso di tempo. Allora è bene non attaccarsi.
E contraddicendo tutto finora detto, ho deciso di conservare delle “cose”. Ne ho distribuite altre. Le faccio vivere finalmente perché la maggior parte di quei bicchieri, per esempio, non aveva nemmeno mai sentito un paio di labbra. Avevano ancora l’etichetta originale.
Bicchiere da aperitivo, sei fortunato. Io ti ho scelto. Ti do vita, hai una seconda opportunità per brillare e distinguerti su una tavola, per sentire le bollicine solleticanti di uno champagne nel miglior caso, o di un bianco fresco. E tu, calice bitorzoluto, hai visto che mantengo le promesse: hai già conosciuto il vino rosso.
E tu tazza blu, in te bevo il caffè la mattina con il latte freddo, e non te la prendere se ti alterno a quella dorata. So che avete visto poco finora. Non vi prometto niente, non vi garantisco di stare insieme per sempre, né di farvi girare il mondo, ma vi sto integrando qui, tra queste quattro mura. Vi accolgo, aggeggi inanimati, rimasugli di un’intera famiglia. Tanto poco sembra di poter fare, e tanto al contempo, e al contrario. Sensazioni opposte e pur presenti simultaneamente. Vince sempre il “tanto” comunque.
È stato un lungo lunghissimo funerale. Sono contenta che stia per finire. Ormai li prendo pure in giro i “miei morti”, e gli si fa pure la dichiarazione dei redditi. Ironia della sorte. Con brindisi conclusivo!
‘Caducità’ fà pensare a filosofie sull’esistenza.. Ma allora il disincanto delle cose che transitano nel territorio umano per tempi comunque troppo brevi.. proviamo a metterlo nella cornice della REALTA’ SENZA TEMPO’ ( fonte di quanto follemente scorre nella nostra) dove tutto respira eternamente – ogni singolo bicchiere con ogni sua possibile variante – e dove tutto sarà ritrovato e compreso nella sua vera luce come parte di un puzzle finalmente leggibile. Un certo pensiero filosofico ipotizza infatti che l’uomo crei-percepisca con sensi limitati e nei canoni spazio-temporali una realtà energetica a monte che tutto comprende.. Alcuni cosiddetti maestri spirituali ne riportano significativa esperienza ma semplici flash di comprensione in tal senso sono accessibili a molti e consentono comunque di lasciar andare la malinconia dalla visione del mondo
Mi pare infatti che l’esempio che porto conduca laddove un oggetto, seppur transitorio, è trasposto attraverso il processo di integrazione “tra le mie quattro mura” in una dimensione “altra”. Attraverso la rivalutazione di un oggetto caro si può mirare proprio a quell’immortalità, sebbene e nonostante l’oggetto a cui si è legati possa sparire d’improvviso (cosa che peraltro mi è accaduta subito).
Ma la caducità fa parte di questa realtà. La si potrà anche includere in un’ottica diversa, e si supererà forse un giorno, ma c’è, e nessuno toglie che quando mi sveglio il pomeriggio ancora non mi capaciti che mio padre non ci sia più, e ne sia stupita, e ci metta vari secondi a realizzare che è un anno che non lo vedo. In molte culture la morte viene integrata nel quotidiano dell’esistenza, perché è parte della vita. Qui la si nega e la si minimizza. Si sottovaluta, si soffoca e si vuole cancellare. Negli altri disturba, ed è subito argomento molesto. Portare il lutto aveva un senso che ora mi è chiaro: non come memento mori o negazione della vita, ma come riconoscimento di una fase dell’esistenza per avvalorare l’importanza di un’assenza. E andare poi meglio avanti.
Sebbene il tuo brindisi conclusivo faccia pensare che ce la stai facendo bene anche senza la filosofia!!