Mi svegliai per un ticchettio improvviso. Fuori dalla finestra un silenzio irreale per la neve che si spandeva fitta mentre in casa un suono persistente mi disturbava. Calzai i tappi più a fondo negli orecchi e vi misi un cuscino supplementare sopra. Il rumore ritmico che sentivo si attutì, e mi riaddormentai.
Quando mi svegliai il bianco fuori si spargeva in ogni direzione. Nessuna macchina poteva passare per le strade per cui New York era irrealmente silente. Mi alzai e decisi di uscire fuori. Camminai con passo felpato per le strade d’ovatta mentre piccoli aghi mi bucavano ripetutamente il viso.
Feci qualche passo per strada e m’imbattei in un orologio posto su un palo in mezzo al marciapiede. Segnava l’ora correttamente ma il quadrante si spostava in senso opposto.
Il contesto va indietro, ma non i minuti e le ore: è lo sfondo che procede al contrario, che muta in modo distonico rispetto al tempo come abbiamo deciso di scandirlo. Mi paralizzai per interminabili ghiacci istanti sotto la neve battente a cercare di dare un senso a quest’incontro, senza possibilità di capire. Forse non c’era niente da capire?
L’ora giusta nel panorama contrario, mi ripetevo. Il tempo corretto nell’universo a ritroso. Lo scorrere esatto nel tempo inverso. Mi persi nei pensieri e nella tormenta. Camminai per un pezzo ma non riuscivo più a trovare la via di casa. Il bianco mi confuse. Dopo minuti che parvero ore mi si parò davanti un caffè. Entrai, scossi le scarpe piene di neve acquosa e mi sedetti, sentendo il beneficio del calore del locale.
Ordinai un caffè lungo. Mi accomodai su una poltrona per riprendere fiato. Davanti a me un altro orologio che segnava l’ora esatta. Presi la tazza e bevvi un sorso di caffè. Guardai i miei vicini; chi aveva un giornale, chi un computer, chi un amico con cui parlare. Io volevo solo tuffarmi nel mio circolo silenzioso, e né scrivere, né leggere, né parlare. Non c’era spazio per quelle attività. Il tempo si stava mangiando ogni cosa. Il tempo mi sembrava l’unica intangibile cosa che mi fosse rimasta, ciò che avevo ancora in qualche modo dopo l’esplosione. Tutto era saltato in aria e restava l’ombra di me, che si aggirava alla ricerca del tempo.
Mi ricadde lo sguardo sull’orologio al muro. Adesso le lancette segnavano un’ora precedente a quella che avevo visto appena entrata nel locale. Quelle due sciocche stanghette si spostavano all’indietro, e quindi l’ora era diventata sbagliata. Muovendosi con regolarità avrebbero comunque segnato l’ora esatta due volte in un giorno.
Rimasi bloccata nell’attimo eterno, rividi il contesto in moto ed io immobile mentre inesorabili istanti passavano ed io non trovavo più la mia salvezza, perdevo di minuto in minuto la fiducia in me, mi sgretolavo in briciole secche al vento. Mi ricordai la me che vedeva la clessidra scorrere al contrario prima del boato, che spargeva lacrime sangue e disperazione senza darsi mai pace, senza perdonarsi, senza darsi tregua. Allora avrei davvero voluto che i minuti scorressero al contrario, offrendomi tutto lo spazio creativo di cui dovevo secondo me disporre, e tutto l’amore che il mio amore mi donava. A quel tempo.
Un ragazzo sbatté nel mio gomito e si scusò, facendomi risvegliare da quella specie di incubo delle ore mal disposte.
Il contesto a ritroso nel tempo giusto. Due volte in un giorno l’ora è quella corretta. E d’improvviso realizzai che il paradosso del tempo “giusto” non esisteva. Il tempo scandito in secondi minuti e ore è una pura convenzione. Luna e sole, solo loro. Eppure incontri a distanza di secoli sono possibili, ritrovare chi si è conosciuto altrove, in un altro spazio, è reale più di mille altre apparenti consistenti realtà.
Mi rimisi cappello, cappotto e guanti e uscii nella bufera.
Cosa avevo vissuto? Superficialità è superficialità, e non si può chiamare in altri modi. Il tempo nell’accezione canonica del termine mi era stato amico, regalandomi se stesso con preziosi lunghi eterni momenti di grande bellezza. E poi si era fermato, e l’orologio che avevo visto sul marciapiede riassumeva quell’arresto. Il tempo era stato magnanimo, e procedeva al contrario perché ultimamente vivevo ripercorrendo tutta la vita a ritroso senza poter fare progetti, ripescando gli eventi meravigliosi che mi erano giunti come regali, e che, uno per uno, per scelta e spirito di sopravvivenza, avevo deciso di abbandonare.
E il tempo all’indietro, corretto pur sempre due volte al giorno? È nel passato che vedo me stessa viva? Oh certo. La consapevolezza, o quella che credevo di aver conseguito, mi uccide – e mi fa vivere – e una grossa fetta di me se ne è andata.
Nello spazio che intercorre tra il sorgere di un sole e il tramonto di una luna, è lì che si trovano le occasioni, non tra le lancette di un orologio da muro che scorre all’indietro; capii che non erano soltanto due i momenti giusti di un’intera giornata. Sono tutte le occasioni che sappiamo scovare tra le lancette.
Chiusi gli occhi.
Quando li riaprii non ero a New York, ma in un luogo senza nome, molto bello, pieno di volti sorridenti. Era primavera, cadevano petali nel parco.
Ero con tutte le persone che ho amato e amo, e non dovevo lasciare più nessuno. Una festa. Nessuna recriminazione. Vedevo me a tutte le età, e tutti nel momento più bello in cui li ho conosciuti, e come avrebbero voluto rimanere o come vorrebbero divenire, potendolo scegliere. Stavo in mezzo a loro, e al contempo in disparte, spettatore gioioso, sentendo il calore dei sentimenti, provando un intenso amore. Non più distonia temporale, non più torture nell’infilarsi in crepe per recuperare passati da risistemare, non più irrisolti senza nome.
Ero leggera. Ed ero ancora felice di una felicità piana, sconosciuta, cristallina. Era una felicità piena, quieta e totale, che non ambiva alla prossima felicità o al suo completamento. Era lei, così, da tenere.
Lo presi per mano e sentii quell’abbraccio avvolgente che ogni palpito innalza, e partimmo. Chiusi gli occhi ancora; andava tutto bene. Non era un’illusione, non dovevo scegliere niente, né ricordare quella clessidra pronta a ferirmi, né avere un piano. Era l’assenza di tempo nell’attimo dell’eterno presente in cui tutto vive.
Sì, vi ho amato molto e nessuno scappa da qui dentro, nessuno. Perché il tempo è inconsistente. Non ho trovato il mio orologio, quello senza lancette, con il quadrante senza ore. È quello l’unico che ha senso. Non scorre niente, se pur tutto scorre, perché ogni cosa è senza rabbia, senza rancore, e m’avvolge.
Si dice che tutto passi. O che tutto sia immutabile nella sua eterna perfezione. Grazie vita che mi dai mani per scrivere, e occhi per vedere, e ali per viaggiare.
Pressochè incommentabile.. un multistrato di sensi possibili..
Quando dici ‘ L’ora giusta nel panorama contrario’ a me viene in mente : COSA GIUSTA IN UN CONTESTO SFAVOREVOLE.
Già, viene in mente anche a me… Se fossi andata avanti a cercare variazioni con le possibilità credo che sarebbero state quasi infinite, moltissime. Due orologi in 24 ore che segnano il tempo in un modo apparentemente inspiegabile, è molto interessante. E quindi il tempo si lega inscindibilmente all’esperienza. Tempo, che così come lo si pensa, non è… O non è più per me