Oggi mi è caduto un coperchio di netto sul naso.
Stavo cercando di prendere un’enorme pentola da una mensola in alto, e non sapevo ci fosse sopra il suo altrettanto grande coperchio rovesciato. Il primo pensiero è stato che mi fossi spaccata gli occhiali esattamente nel punto in cui si poggiano sul naso. Quindi l’esito sarebbe stato disastroso. Soldi. Tanti. Me li sono tolti subito per guardarli. Occhiali perfetti.
Al naso non pensavo. Poi ho realizzato che forse potevo essermi fatta male. Sono andata in bagno e mentre facevo scorrere l’acqua sul naso ho pensato: “Oh, potrei essermelo rotto?… sangue? No”.
Tutto a posto. Poi mi guardo. Un taglio rosso.
Nessun dolore. Niente. Come se il naso non mi appartenesse. Menomale che è grande abbastanza, e quindi l’osso è bello solido! Vedi la fortuna?
Ci ho messo del ghiaccio; ovviamente dovevo lavorare e farmi vedere dopo pochi minuti, e non era bello andare dalla gente con un taglio sanguinante tra gli occhi. Mi sono preoccupata del livido che mi sarebbe venuto, e che probabilmente verrà. Ghiaccio ancora.
Continuava a uscire sangue. Poco ma costante. Il taglio è lì, appena profondo, ma netto.
Il coperchio ha colpito nel punto giusto, dove non duole; perché, mi domando, adesso cosa ancora fa male?
Il corpo non duole; parla un linguaggio suo, che esprime il desiderio di sopravvivere, anzi, di vivere, per quanto io sia ancora un bel po’ perplessa delle condizioni in cui si debbano seguire i propri sogni. Segno il mio recinto e il mio territorio. Spazi che sono precisi adesso, invisibili e inviolabili, che diventeranno elastici e mobili quando sarà il momento.
Una cosa è chiara: il dolore nel naso non ce l’ho. Il mio corpo, almeno per ora, trita. Una gran fortuna.
Ma non dimentico, né sottovaluto, né minimizzo. La forza prevale. Evidentemente è lo spirito di sopravvivenza che si sviluppa (e magari il sonno tornato che dà una visione più ottimistica!).
Chiarezza, per niente confusione. Il cinismo sopravanza, diavolo, ed è il minimo.
E quindi, certo, non si spreca un secondo in perdite di tempo. Ogni cosa deve avere un senso, un motivo d’essere, ogni persona frequentata deve avere un suo perché. Apparentemente scontato ma non sempre perseguito.
Si può andare oltre il dolore? Forse. Magari a tratti. Noto solo che se il corpo risponde in modo così risoluto sta offrendo uno spunto: in qualche modo si può.
E il dolore dell’anima? Si allevia? Procedo se non rinuncio ai miei sogni, ed è chiaro non perché io non senta, non perché io rimuova qualcosa. Non rimuovo, e allo stesso tempo non rinuncio. Vivo come un folle. Eppur vivo, interagisco e produco. Continuo a vedere dove mi porta la corrente ma non sono più in balia.
E no, non rinuncio a ciò che oggi pare irreale e che, mi chiedo, domani sarà il mio presente?
Dal niente non può che avvenire la nascita. E con il naso ferito dico ancora: no grazie, non voglio altri segni di guerra. Voglio segni di pace, di tregua, di progresso. Voglio tutto tutto tutto il possibile.
Nasi tagliati e anime intatte.