Saggio di acrobatica aerea.
Sono la più scarsa delle compagne di tessuti aerei – non è falsa modestia, è la realtà – , ma sono riuscita a superare le mie aspettative, quindi il risultato è stato per me eccezionale. Ho sbagliato tutte le prove, comprese le prove generali. Il mio cervello si rifiutava di imparare una piccola sequenza, e in aria si inceppa praticamente sempre. È il solito vecchio blocco che mi impediva di fare un passo in avanti a lezione di tip tap, tre anni fa. Un passo significa banalmente che dovevo far avanzare il piede in avanti a tempo, non una serie di passi. La gamba sembrava inchiodata a terra!
E ora che ho documentato questo micro-miracolo, realizzo che tra i sogni che avevo da bambina ballare è stato forse il primo a cui ho rinunciato. Ho invece sempre coltivato per me lo scrivere, la mia principale passione, sfogandomi su centinaia di pagine con pensieri insulsi dapprima, tentando di dar loro una forma per il giornale della scuola da adolescente, in seguito per lavoro con scritti tecnici. Rispetto al ballo ho quindi percepito meno la mancanza della scrittura.
La danza classica fu una rinuncia improvvisamente netta e dolorosa, che mi procurò una grande sofferenza.
La maestra di quel tempo, una fine psicologa, praticamente mi incitò a smettere perché il professionismo non era per me. È chiaro che a undici anni fai uno sport perché vuoi diventare un professionista, e non semplicemente per imparare una disciplina… il corpo si stava formando, e lei trovò un difetto nei piedi. Per di più non ero una pialla, anche se avevo ancora il corpo di una bambina prima dello sviluppo. A eliminar definitivamente la danza dalla mia vita il fatto che fosse incompatibile con la quantità di ore che già passavo a studiare.
Fine del sogno. Per anni ho pianto ripensando al palco abbandonato, volevo vedere balletti, sentivo uno struggimento per non muovere più il mio corpo a nessun ritmo.
All’Operà di Parigi tanti anni fa versai lacrime come una vite tagliata.
Ed ecco. In questa valle piatta, o realtà parallela che sto vivendo – ancora non mi è ben chiaro – in cui mi risulta inaccessibile da due giorni il profilo utente del computer e riesco a perdere per una giornata di nuovo TUTTO (ma poi lo recupero… pfiu), realizzo che uno dei sogni l’ho riacciuffato.
Ci sono voluti tre anni di apprendimento per poter preparare poi in un mese la piccola sequenza che ho presentato. Sono davvero coriacea a mollare la testa e affidarmi al corpo; eppure mi devo fidare perché pare che abbia buon intuito.
Mai avrei immaginato che una persona mentale come me avesse bisogno, per provare a raggiungere tutt’altri obiettivi, di passare al 100% dal corpo. Sembra un passaggio obbligato adesso…
Già, perché se un sogno s’avvera ballando in aria, la strada va bene. E non si tratta delle endorfine rilasciate che ti drogano. Gioco di equilibri, gambe usate come leve, braccia come ali, movimenti che parevano impossibili diventano praticabili e automatici. Dunque, ci sarà un nesso con tutto il resto?
Questo percorso non è garanzia di niente, lo so, ormai vedo che di garanzie ce ne sono ben poche, ma questo vuoto creativo – che più d’uno mi ha detto essere così eccitante, pensaci! – va orientato verso quello che desidero. Se no risulta un vuoto. Punto.
E’ vero, della danza e del recupero del corpo ne avevo già parlato in Del corpo danzante nel lontano dicembre 2013. Ma nel tempo si affinano i concetti e le sensazioni, e le mie endorfine si sprigionano anche quando, tipo adesso, mi sembra non scrivere una cazzata…
La maestra è Elyrudizuli, quella che m’ha ispirato, con cui sento un legame stranissimo e forte, che ora è in mezzo ai mari a fare, credo, il mozzo di bordo, mollandoci senza una parola da un giorno all’altro a fine maggio. Per fortuna ci ha lasciato nelle mani della sua bravissima assistente ventunenne!
L’unica cosa che avevo chiesto con forza dopo New York: fare acrobatica immediatamente, se no mi sarei potuta sparare, e possibilmente con Ely. Le scrissi. Lei, che per l’appunto non insegnava da anni, avrebbe iniziato un corso di lì a una settimana.
Cosa ne deduco? Che in questo cazzo di vuoto creativo, quando è il momento, le cose avvengono.
Il piccolo importante desiderio s’avvera. Dunque, io proseguo a rischiare con gioia l’osso del collo ballando appesa su quel cencio, ma tu, vuoto, rimani pur vuoto ma per riempirti di quello che desidero. Abbiamo tenuto sogni a disposizione perché si r e a l i z z i n o !