Il mondo della lavanderia è appassionante. Da bambina guardavo “I Jefferson”, un telefilm il cui protagonista era proprietario di una catena di lavanderie. A ripensarci era una storia basata su piccole meschinità, sciorinate come mentine, intercalate da risate al comando “play”… Io mi incollavo al televisore e tutte quelle storielle rassicuranti me le bevevo.
Quintali di telefilm americani. Credo di averli visti quasi tutti. Forse quella smisurata ingordigia ha causato l’attuale rigetto al cubo grigio, allo schermo piatto che non ho mai avuto. Magari un giorno mi ricomprerò una tv, non lo escludo. E se mi capita di essere da qualcuno che ne ha una troneggiante in sala accesa mi fa sempre l’impressione di non aver mai smesso di guardarla, perché si ritrovano gli stessi giranti a vuoto dibattiti, uguali tritelli, conduttori che migrano da una rete all’altra, gli stessi programmi sulle autopsie.
Ma si può?! E mi son vista a suo tempo pure quelli. Poi dormivo male… Da quando ho smesso di drogarmi di merda televisiva sto meglio.
Insomma, capisco ora vivendo nella grande mela perché il signor Jefferson possedesse una catena di lavanderie. Un business pazzesco. Una menata unica per chi ci deve andare! Praticamente middle and low class eccetto sporadici casi non possiede lavatrice in casa. Non va di moda…
Ti devi organizzare. No, non fai il bucato quando ti va, anche se la sera avresti la forza di dividere i bianchi dai neri, buttando senza molta attenzione un gruppo dei due nella buca lavante. Prendi il tuo cesto, o il tuo sacco, la tua tessera magnetica, i tuoi detersivi, smacchianti, e calcoli che almeno per un’ora e mezzo sarai più o meno libero da altri impegni per dedicarti al bucato. Ho compreso di essere fortunata perché ho la laundry nel palazzo, chè posso scendere semplicemente con l’ascensore e seguire i miei lavaggi. Sì, diciamo che posso scendere e salire tre o quattro volte se non voglio assistere proprio all’intero spettacolo di capriole un pochino monotone del cestello della lavatrice.
Ho subito perso un calzino. E ho rinvenuto nella mia roba un paio di boxer. Un davvero inutile scambio di indumenti…
Mi sono così improvvisamente trovata a portare i panni quasi in pigiama (superando con inaspettata rapidità l’iniziale reticenza per mancanza di tempo e organizzazione, notando che anche gli altri non erano poi così tirati). La sala è un luogo di socializzazione coatta. Non rozza, ma obbligatoria. Anche piacevole, ma soprattutto inevitabile. Ogni volta incontrando diversi laundry-users improvviso scoordinati convenevoli, provvisti sempre di grandi sorrisi in caso fraintendessi, in attesa della fine del ciclo di lavaggio, per passare il tutto all’asciugatrice. La vera figata.
Mezzo mondo conosce perfettamente questo potente mezzo (e ignora però quasi l’uso del ferro da stiro…), ma io no. Per me è stata una rivelazione. I panni non si stendono. Si buttano nell’altra lavatrice formato oversize che asciuga tutto. Mezz’ora ancora ed è tutto finito. Non ci pensi più! Un’altra settimana, forse due. Se subito dopo hai anche la pazienza di piegare i tuoi cenci, è fatta.
E ho nel cuore tutti coloro che ora, con il gelo che annichilisce già il mio cervello e che, mi si dice RIDENDO con beffarda ironia, sia solo appena iniziato (!!!), dovranno comunque uscire di casa con cappotto, sacco dei panni, kit lavaggio, andare da Lost sock, dal signor Jefferson o da Madama Washandry, e stare lì quella buona ora e passa, ammirando il cesto che frulla, controllando di non essere derubati delle proprie mutande. Magari però lì sarà possibile che arrivi quel tipo che si deve proprio lavare i Levis…