Questa città è di tutti e di nessuno. Ho trovato sia chi vive qui da una vita e non la sente sua, o non del tutto, oppure chi si sente a casa pur vivendo a New York solo da qualche anno. NY e’ un magma misterioso, può essere un collante a presa rapida. E ha la peculiarità unica, semplice e cristallina che se ti impegni duramente potrai trovare la tua collocazione nel mondo.
Ecco come mi spiego che anche chi, “profugo” e desideroso di fare ritorno a quella che dopo una vita considera ancora casa, sia rimasto qui. Perché lavorare significa poter esistere, realizzarsi magari, avere un progetto e metterlo in atto.
Ti puoi sentire anche tu parte di questo mondo in corsa, e lo sarai quando non avrai bisogno della mappa delle stazioni, quando ti orienterai un po’ di più. Questa è la sensazione. Ma basta così poco…
I negozianti che ti chiedono da dove vieni perché non ti hanno mai visto, e ti danno il benvenuto. Com’è andata la giornata? In Italia mai nessuno me lo aveva chiesto. Ero out. Qui sono già in. Si dice sia l’apparente buonismo in voga, ma riesco ad apprezzarlo, a scambiare un sorriso in più che mette il buonumore.
Stasera nella mia strada una sfilata di camion immensi parcheggiati, tipo camper di lusso, tante piccole stanze, camere di attori che presumo girino un film, un telefilm forse.
In treno non riesco più a leggere. Devo guardare la gente intorno a me. Una varietà inimmaginabile, trecce, rasta, capelli multicolore, ogni peso, ogni etnia, ma non di tutte le età. La subway è preclusa a teen-ager, anziani, disabili. Si vedono invece mamme coraggiose con carrozzine, quelle toste, che stanno a fare un vero lavoro, un’impresa per niente attraente nella jungle . Vi lodo dentro di me!
Questo è un luogo meraviglioso, cresciuto verso il cielo, e sotto, nelle viscere della terra. Up and down.
Stai al ritmo e reggerai alla pressione.
Chi è di New York? La città del sogno. Nessuno. E al contempo tutti.
E’ misterioso come incontri una signora italiana che non parla tanto bene l’inglese, venuta qui negli anni ’50, che sogna ancora la sua Sicilia, e che tornerà a “casa” tra poco. Oppure Franco, un uomo della vigilanza museale, che vive qui da 30 anni e vuole riprendere la via dell’Italia. Cosa ci lega a quella terra incomprensibile, ladra, schifosamente bella e madre di ogni arte estetica, culinaria, intellettuale?… Quella terra bastarda, in cui facciamo di tutto per sabotarla?
Ci impegniamo abbastanza per sovvertire il presunto ordine costituito che ci soffoca? Eppure ci richiama, la promessa Itaca… ma cosa ci accoglierà poi? Cosa?! Dopo 30 o 50 anni, come tornare? Solo il mare ci riprende senza volere niente in cambio. Il pensiero della mia terra mi addolora, il luogo in cui nessuno sa che diavolo deve fare e non esiste mai qualcuno che risponda per la sua inadempienza. Liberi tutti.
Qui la risposta è immediata. C’è un addetto ad ogni livello di richiesta.
Certo, per antitesi negli U.S. nessuno ti raccoglierà se cadrai in miseria, nessuno ti salverà, e NY ne è l’emblema, città per gente sana e in forze, di belle speranze. Poi ti sputa via. L’Italia, dove non funziona quasi niente, ti lascia macerare lentamente, fino a che non esaurisci le tue aspettative e ogni speranza.
Mi piace adesso questo silenzio assoluto, questo staccare dalla vita del passato, ora e adesso, solo ORA. Non c’e’ quasi il domani. Solo l’oggi.
Domani è un mistero. Ognuno è proiettato sul suo presente.
O almeno è questa la sensazione. La progettualità arriva alla scadenza del contratto, ma sai che troverai altro. Ecco la differenza.
Vedo tesserini con nomi stampati, esibiti con orgoglio; l’appartenenza ad un’istituzione, con la data della scadenza del lavoro, come il latte.
Una città, mostro senza testa e senza cuore. La forza qui si trova nelle proprie capacità.
Ecco la differenza che percepisco con la mia terra. Il miraggio di un lavoro “perenne” non esiste. Tutto può essere sovvertito, come in realtà è. Life.